La Nostra Storia

Fondazione EMN Italy Onlus nasce con il nome di FO.NE.SA. – Fondazione Neoplasie Sangue - Onlus, nel giugno del 2004 a Torino presso il Presidio Ospedaliero delle Molinette. L’obiettivo è quello di creare una struttura no profit impegnata nel sostegno economico, finanziario, operativo e gestionale alle attività di ricerca scientifica sulle malattie ematologiche, con una particolare attenzione al mieloma multiplo. Dal 12 dicembre 20019 FONESA ha cambiato il suo nome in Fondazione European Myeloma Network Italy Onlus.

Nel corso degli anni sono stati molti i progetti sostenuti e promossi da Fondazione EMN Italy Onlus e numerosi i pazienti e le famiglie con particolari difficoltà economiche seguite ed aiutate finanziariamente nel loro percorso di cura e di supporto al familiare malato.

Costantemente attiva e propositiva, Fondazione EMN Italy Onlus ha partecipato attivamente a gruppi cooperativi a livello europeo e mondiale, promuovendo lo scambio di informazioni e di dati tra ricercatori e scienziati.

Nuovi protocolli a disposizione dei pazienti, disponibilità di farmaci di ultima generazione non ancora presenti in Italia ma già supportati da autorevoli studi e pubblicazioni scientifiche, articoli, poster e presentazioni per congressi sono tra le principali attività di Fondazione EMN Italy Onlus a cui si aggiunge il Data Center, dove vengono raccolti ed elaborati i dati clinici riguardanti i pazienti affetti da emopatie maligne, al fine di garantire correttezza, qualità e aderenza ai protocolli sperimentali.

La ricerca scientifica è anche tutto questo; non solo studi e sperimentazioni in laboratorio, ma anche raccolta dati e analisi dei casi clinici, relazioni e scambi informativi tra istituti e gruppi di studio, sperimentazione farmacologica monitorata e verificata. I pazienti e i familiari dei malati lo sanno molto bene e nel corso del tempo hanno sempre sostenuto Fondazione EMN Italy Onlus e le sue attività.

Panoramica sul Mieloma Multiplo

Il mieloma multiplo (MM) è la seconda neoplasia ematologica più comune ed è caratterizzato dalla proliferazione anomala di un clone di plasmacellule. Le cause non sono note, l’incidenza, il numero di nuovi casi annuo è di circa 4.6  ogni 100000 abitanti ed è nel complesso stabile, mentre la mortalità è in lieve calo (Kumar et al. Nat Rev Dis Primers. 2017;3:17046.). Si tratta di una patologia che colpisce soprattutto i pazienti anziani: la mediana alla diagnosi è infatti di 68 anni.

Le plasmacellule nel midollo osseo producono e secernono anticorpi. Le normali plasmacellule sono policlonali, nel senso che sono le une differenti dalle altre e producono anticorpi differenti gli uni dagli altri. In sintesi, il mieloma multiplo coincide con la proliferazione di un clone (un gruppo di plasmacellule anomale in quanto identiche tra loro).

Le plasmacellule si accumulano inizialmente nel midollo osseo e, nella maggior parte dei pazienti, si riscontra una secrezione di immunoglobuline monoclonali rilevabili nel siero e nelle urine. Tuttavia, il 15-20% dei pazienti presenta soltanto un’alterazione delle FLC, ossia delle catene leggere libere (mieloma non secernente).

La presenza di queste plasmacellule  monoclonali provoca sintomi denominati dall’acronimo CRAB (aumento Calcio, insufficienza Renale, Anemia o lesioni ossee, “Bone lesions” in inglese), causando quindi danni d’organo come ipercalcemia, insufficienza renale, anemia e dolore osseo. Quest’ultimo può degenerare in fratture dovute al progressivo indebolimento del tessuto osseo.

MGUS e SMM

Il MM fa parte di un gruppo di patologie denominate “gammopatie monoclonali”, la più comune delle quali è la MGUS (Monoclonal Gammopathy of Undetermined Significance; gammopatia monoclonale d’incerto significato) che è caratterizzata dall’infiltrazione di plasmacellule monoclonali nel midollo osseo e dalla secrezione di proteine monoclonali. Questa patologia è asintomatica e può progredire in MM. Ciò avviene anche nel caso dello SMM (Smouldering Multiple Myeloma; mieloma multiplo asintomatico), uno stadio clinico intermedio tra MGUS e MM. Solitamente, MGUS e SMM sono diagnosticati in maniera accidentale duranti gli esami di routine e non esistono specifici eventi genetici o epigenetici che marchino la transizione da MGUS e SMM a MM, ma è stato dimostrato che circa il 20% dei pazienti con MGUS e SMM progrediscano a MM.

PLASMOCITOMA

Il plasmocitoma è una massa localizzata di plasmacellule monoclonali neoplastiche ed è quindi un’espressione della malattia a livello locale. Se ne distinguono due tipi: osseo o extramidollare. Il primo si sviluppa all’interno dello scheletro; il secondo nei tessuti molli, più frequentemente nell’apparato respiratorio superiore. È importante eseguire controlli periodici dopo l’asportazione e la radioterapia, in quanto è possibile che si presenti una recidiva a livello locale o un’evoluzione a livello sistemico a MM.

MIELOMA SINTOMATICO

I criteri diagnostici per il mieloma multiplo sintomatico prevedono la concomitante presenza di almeno un biomarcatore e di almeno un CRAB.




Criteri di diagnosi:

- presenza di plasmacellule nel midollo osseo ≥60% esaminate tramite aspirato o biopsia midollare
- determinazione delle catene leggere libere kappa (κ) e lambda (λ) nel siero (FLC) e stima del rapporto κ/λ (FLCr). Il valore anomalo di FLCr è ≥100
- risonanza magnetica nucleare con la presenza di più di una lesione focale





I valori di riferimento dei CRAB sono:

- ipercalcemia: calcemia >11mg/dl
- insufficienza renale: creatinina >2mg/dl o eliminazione della creatinina <40ml/min
- anemia: emoglobina <2gr rispetto ai valori normali o <10g/dl
- lesioni ossee: una o più lesioni osteolitiche. (Cfr. SV Rajkumar et al. International Myeloma Working Group updated criteria for the diagnosis of multiple myeloma. Lancet Oncol. 2014;15(12):e538-e548)

Oltre a questi criteri inclusivi per definire la malattia e valutare l’inizio di un trattamento, si presentano altri sintomi accessori legati prevalentemente all’effetto delle cellule monoclonali. Il più frequente è la neuropatia periferica, una patologia che colpisce il sistema nervoso periferico. Il MM è associato anche a un aumentato rischio di infezioni dovuto all’ipogammaglobulinemia la quale si manifesta con la riduzione delle difese immunitarie. Infine, una percentuale di pazienti tra il 2 e il 6% sviluppa la sindrome da iperviscosità, caratterizzata da sanguinamento dalle mucose (gengivale, nasale, etc), disturbi visivi e sintomi neurologici.

TRATTAMENTI

Nel paziente affetto da mieloma multiplo sintomatico, il trattamento è sempre opportuno. Nel corso degli ultimi dieci anni, la sopravvivenza media è arrivata a 8-10 anni grazie all’introduzione di nuovi farmaci come gli inibitori del proteasoma, i farmaci immunomodulatori e gli anticorpi monoclonali.
Gli scopi del trattamento sono l’ottenimento di risposte il più possibile profonde, il miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (progression-free survival, PFS) e della sopravvivenza globale (overall survival, OS) e, in pazienti fragili, anche il solo miglioramento della qualità della vita e il controllo della malattia.
Per questo motivo, il trattamento viene diversificato in relazione all’età anagrafica del paziente, all’eventuale presenza di comorbidità e alle condizioni di salute generali.

TERAPIA DEI GIOVANI

I pazienti di età ≤65-70 anni con normale funzionalità cardiaca, polmonare ed epatica e senza significativo rischio infettivo sono candidabili a un trattamento intensificato comprensivo di trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (ASCT) che si articola in 4 fasi: induzione pre-trapianto, trapianto, consolidamento post-trapianto e mantenimento.

L’induzione consiste generalmente in 3-6 cicli con l’obiettivo di un rapido controllo della malattia e dei sintomi. La terapia standard è una combinazione di 3 farmaci: solitamente un corticosteroide (desametasone), un inbitore del proteasoma (bortezomib) più un immunomodulante (talidomide, lenalidomide) e/o un chemioterapico alchilante (ciclofosfamide). Dopo l’induzione si procede con il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (ASCT), che consiste nella somministrazione di chemioterapia a intensità sovra-massimale seguita da una reinfusione delle cellule staminali (CSE) del paziente stesso; il regime standard è un’alta dose di melphalan (200mg/m2). 
La fase di consolidamento è necessaria dopo il trapianto per migliorare la risposta alla malattia. Paesi differenti adottano standard differenti per la terapia di consolidamento. In Italia questa fase può contemplare un secondo trapianto autologo. In altri casi, si utilizza lo stesso regime dell’induzione al fine di ottenere una prognosi favorevole. Infine, il regime di mantenimento ha come scopo quello di prolungare la durata di remissione senza compromettere la qualità della vita del paziente. Attualmente, le terapie di mantenimento adottate più frequentemente  prevedono la lenalidomide. La talidomide e il bortezomib sono stati utilizzati in passato e possono essere adottati in particolari setting.
La lenalidomide è ritenuta migliore in termini di efficacia e tollerabilità, siccome è caratterizzata da una minore incidenza e da una più bassa gravità della neurotossicità rispetto a bortezomib e talidomide.
Il trapianto nei pazienti anziani può essere preso in considerazione tenendo conto dello status di ogni organo e dell’età biologica piuttosto che di quella cronologica, valutando caso per caso.
In alcuni casi viene considerato – quasi sempre come strategia in risposta a una recidiva o a pazienti giovani ad alto rischio – anche il trapianto allogenico, vale a dire un tipo di trapianto che coinvolge due persone: un “donatore” sano e un paziente “ricevente”.

TERAPIA DEGLI ANZIANI

Nei pazienti con età ≥65-70 anni non candidabili a terapie intensificate, la PFS e l’OS sono molto migliorate negli ultimi decenni grazie a farmaci di nuova generazione come talidomide, bortezomib e lenalidomide. Siccome i pazienti anziani rappresentano una popolazione molto eterogenea in termini di condizioni fisiche e psico-sociali, è molto importante valutare la terapia adeguata considerando le possibili tossicità.
Ad esempio, alcuni studi dimostrano che la terapia con melphalan, prednisone e talidomide (MPT) dia un significativo beneficio in termini di OS, sebbene siano state documentate diverse tossicità ematologiche e neuropatia periferica. Un’altra terapia standard composta da bortezomib, melphalan e prednisone (VMP) dimostra una buona risposta, anche se la neuropatia periferica è una tossicità significativa associata alla terapia a lungo termine basata sul bortezomib.
Di solito si riduce questo effetto diminuendo la dose (da iniezioni bisettimanali a monosettimanali). L’età e le condizioni fisiche sono i criteri per selezionare la dose della terapia e sono stati sviluppati diversi metodi per valutare il livello di fragilità dei pazienti.

TRATTAMENTO DEL MIELOMA RECIDIVATO

Molte analisi retrospettive hanno dimostrato che la chemio-sensibilità e la durata di remissione sono i primi fattori prognostici per un controllo della malattia a lungo termine. La recidiva è abbastanza comune in pazienti affetti da mieloma, anche a distanza di diversi anni.
Un secondo trapianto può essere preso in considerazione nel caso in cui la recidiva dovesse ripresentarsi dopo 18 mesi dal primo trapianto oppure dopo diverse linee di trattamento che non abbiano dato risposta.
Alcuni studi dimostrano che, al presentarsi di una recidiva, la media di sopravvivenza aumenta in quei pazienti che ricevono un trapianto di salvataggio rispetto a quelli che ricevono un salvataggio con immunomodulatori e/o inibitori del proteasoma.
Nei pazienti anziani che non possono ricevere trapianto il fattore rischio/beneficio deve essere analizzato molto attentamente e i farmaci utilizzati variano a seconda della gravità della recidiva.

Link utili

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